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IL VERNACOLO TRANESE nei panni di
Nonno Ciccio (alias Francesco Pansitta)
di Domenico Ruggiero
Francesco nasce a Trani nel ’66. Anni in cui la florida Città dimostra il suo cuore, la sua anima, la sua generosità.
E il Pansitta da attento osservatore, cresciuto per le strade di questo paese ma già impegnato a pensare,
non si lascia sfuggire l’occasione.
Scruta, memorizza; il pensiero pietrifica le emozioni, le avventure. Custodisce.
Il lavoro lo impegna ma Francesco rimugina in sordina.
Fin quando nel 2006… un pungolo, un fischietto che suona per lui… e lui è destinato a calciare rigori.
Non sbaglia un colpo.
L’espressione artistica del Pansitta, definibile come ritmica dialettale simmetrica, fa breccia e sfonda
tutte le reti.
Da una parte quei ricordi… detti, motti vezzeggiativi, frasi fatte; dall’altro i sentimenti della gente
comune che vive i problemi esistenziali attraverso quei ricordi.
E tra il lavoro al Bar (palcoscenico teatro della sua vita… dove ogni giorno assorbe i motivetti della sinfonia) e le performance inventate… gioca con le parole.
Affermando che servono, sì, D’Annunzio, Leopardi, Ungaretti, a stabilire l’infinito… ma c’è bisogno anche di loro , Francesco
con i suoi versi, a rendere finito l’infinito mercato del Vernacolo
tranese.
Trani, 23 aprile 2011
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Più fortuna Trani non poteva avere… per celebrare
una “pazzia” d’amore universale.
del Dr. Fabio Squeo
«Più fortuna Trani non poteva avere…» per celebrare sulla piazza esistenziale non solo il Santo Patrono della città di Trani - Nicola Pellegrino - ma un’artista, un maestro dell’ironia, pellegrino della cultura, nonché, se vogliamo, della cucina. Egli si chiama Francesco Pansitta, in arte Nonno Ciccio; La sua figura è ironica e pungente allo stesso tempo. Un sarcasmo schietto, immediato, nel quale durezza e passione, si impongono. L’imposizione avviene, però, non sempre sulle coscienze giudiziose, ma piuttosto su quelle fragili e indebolite, tipiche del consumismo materico, quelle della cosiddetta modernità-liquida di Bauman. Ormai, le nostre forme d’arte, ed insieme le nostre coscienze, si stanno sempre più sbiadendo alla luce del sole; stanno perdendo dei contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Il fenomeno artistico diventa sempre più refrattario dinnanzi alle sensibilità dei pochi, e riflette enormemente le relazioni umane, che diventano sempre più alla mercé della precarietà. A quanto pare, ora si ha/assiste alla “liquidità” come essenza stessa dell’attuale. Tuttavia, le immagini che offre il Pansitta, specificamente della poesia in vernacolo tranese “Pèzze de Criste” , sono volte al riconoscimento, alla valorizzazione e alla conservazione di quelle metafore e effetti dialettali che già tendono sempre più a passare in disuso. Ecco che, l’autore tranese, dinnanzi alla vita che tende costantemente ad impoverirsi nella sensibilità e nella fede, ritrova l’amore delle/nelle piccole cose, di quelle cose che un tempo erano sufficienti per veder sorridere un bimbo; quelle cose che erano fondamentali per stringere rapporti di onestà e di amore reciproco. I suoi versi in vernacolo provengono da un tempo lontano, ma che parlano il linguaggio del nostro tempo. Essi restano sempre attuali. Essi si raccolgono alla fonte del sapere universale e generano diamanti di verità. In “Pèzze de Criste”, c’è di mezzo, appunto, una verità. Si tratta della verità del Cristo e dell’adorazione vicendevole col e per il Santo Patrono. Perche questo titolo: “Pazzo di Cristo” ? l’artista Franco Pansittta, fa leva sull’immagine decisiva di un uomo, nel caso specifico Santo Pellegrino, che risponde con tutto il suo essere alla follia del Cristo, alla sua passione. Egli diventa “pazzo” per amore di Cristo. Per quell'amore che non si sottrae nemmeno al sottrarsi dell'uomo. Il suo amore per Cristo è incondizionato, costante e dedizioso. Ecco che il Cristo, vedendolo «poveridde […] senza niende na borzett a tracoll e na croc semb appriss», […] «se le chiamate subbete subbete apprisse a iidde.» . E non a caso, Egli, scoprendolo nella bontà e nella verità, ha omaggiato la nostra città con la sua santità, con la presenza del Santo Patrono, con la sua presenza d’amore, impregnata di musica e parole. Egli l’ha donato alla terra tutta intera, portando nel cuore, in particolar modo, lo splendore della città di Trani. Pansitta scrive: «Nan’è nu case ca Criste l’è veleute proprie a Trane e soup a nu delfeine ngè lè mannate». L’autore si serve anche dell’immagine di un delfino per alludere al senso di protezione e salvezza della e per la città. Il delfino sin dall’antichità rappresenta la vitalità di chi sa rigenerarsi superando i momenti difficili e le tempeste della vita. Dietro l’immagine candida del delfino emerge, inoltre, simbolo della divinazione, della saggezza e della possibilità sempre aperta all’uomo di trovare una volta per tutte la via della rettitudine.
TRANI 11-9-2015
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POESIA DI DOMENICO RUGGIERO
A FRANCESCO PANSITTA
SE QUELLA VOLTA NON TI AVESSI CONOSCIUTO,
NON AVREI SCOPERTO IN TE
IL GERME DELL'INTUIZIONE,
IL SAPERE MEDIATICO
CHE TRASMETTI NELLA TUA RITMICA SIMMETRICA.
IL GIORNO E LA NOTTE
SONO ULTIMI A MORIRE DI NOSTALGIA,
ASCOLTANDO IL NONNO-CICCIO
CHE E' DENTRO DI TE.
DENTRO DI TE
SI MUOVE IL TALISMANO DEL SORRISO
IRONICO E PUNGENTE,
QUELL'UNIVERSO
CHE SOLO L'ARTISTA PUO' CONOSCERE,
ANCHE SE IL VELO DELL'AMAREZZA
E' ZUCCHERO FILATO PER TUTTI.
11-9-2015
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IN ESCLUSIVA PER
DOMENICO RUGGIERO:
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